A cura di Ruggero Romano
Le aziende sono fatte di tantissime cose, ma normalmente nascono da un’idea, da un sogno, da un’aspirazione di una sola persona: l’imprenditore che le fonda.
Alla base c’è quindi un concetto fortemente soggettivo e personale, una serie di esigenze, aspirazioni, desideri e obiettivi che sono PERSONALI, non collettivi.
La differenza fondamentale del fare impresa è che le associazioni, i partiti politici e finanche le comunità religiose aggregano persone diverse che sono accomunate da una serie di bisogni, aspirazioni, aspettative e ideologie condivisibili in termini di principi.
L’impresa no! Fare impresa vuol dire sicuramente raccogliere persone e convincerle a dare tempo, impegno, energie e forza fisica per FARE qualcosa, ma quel qualcosa non è una visione comune.
L’imprenditore è quindi un “manipolatore” di persone, senza dare alla parola “manipolatore” una accezione negativa però: si possono manipolare persone a fin di bene, e avrei potuto usare altri termini più “politically correct” come “persuasore”, “leader”, “ispiratore” o, come si direbbe oggi “influencer”.
Ma non sono esattamente la stessa cosa.
Manipolare le persone vuol dire “utilizzarle per uno scopo” e la presenza nel termine del prefisso della parola “mani” che evoca l’idea di quella parte de corpo che ci serve per fare cose pratiche e concrete, è indicativa proprio di quanto sia importante FARE COSE sulle persone per indurle ad agire nella costruzione di un’idea che nasce da un bisogno di un singolo, ma abbisogna di tanti per essere realizzata e concretizzata.
Tutto è incentrato sui concetti espressi dalla piramide di Manslow, con i suoi bisogni primari essenziali e via via sempre più elevati, ma anche più appaganti e quindi, sul piano esistenziale, più stimolanti.
“Manipolazione” diventa quindi più simile a “managerialità” termine derivato dall’anglosassone ma che in realtà ha le sue radici nella cultura latina derivando da “maneggiare” (…e si vede come ritorna il nesso con le mani, emblema e simbolo dell’operatività, ma, e qui c’è una interessantissima correlazione semantica anche in un ambito diversissimo, ma assolutamente illuminante.
Chi va a cavallo spesso frequenta un “maneggio” cioè un luogo in cui si maneggiano i cavalli, cioè li si addestra, li si allena, li si cura…
Il termine “maneggiare” nell’antichità era riferito proprio alla gestione e addestramento del cavallo.
Questo dimostra ancora d più il concetto di utilizzare un animale, in questo caso il cavallo, per i propri scopi, lavoro, piacere, guerra.
Il Manager è quindi una persona che “maneggia” altre persone, che le addestra, ne sfrutta le capacità per “cavalcarle” e farsi portare alla meta da raggiungere.
L’analogia equestre è ancora più forte se si pensa che, in maniera assolutamente analoga al rapporto uomo-cavallo, quello fra manager / imprenditore e il suo collaboratore è esattamente simile.
I bisogni che spingono il collaboratore a lavorare in azienda e quindi ad agire ed operare in un determinato modo sono quelli legati alla sopravvivenza: lo stipendio è l’equivalente del fieno per il cavallo, ed il manager è il cavaliere che, in sella, raggiunge nuovi luoghi, guida in battaglia e ottiene le sue vittorie o semplicemente riesce a percorrere terreni non praticabili con altri mezzi meccanici o …a piedi da solo.
Tutto troppo riduttivo? Troppo semplificata e denigrante la figura del dipendente? Tutt’altro.
Sempre mantenendo l’analogia manager -cavaliere e dipendente -cavallo occorre considerare che, esattamente come negli sport equestri o nelle attività di lavoro in sella, è il binomio che vince e ottiene risultati.
Il cavaliere non è nulla senza cavallo… ed il cavallo non mangia senza cavaliere e, anzi, è spesso più facilmente, vittima dei predatori: questo è il concetto base che fa ‘ si che un’idea soggettiva da concretizzare nata nella testa dell’imprenditore manager ed il bisogno di base di un dipendente, trovino un’armonizzazione comune che crea la motivazione reciproca e mutuale per raggiungere insieme una meta che coincide, sebbene in modo diverso, nel soddisfacimento di entrambi.
Il manager imprenditore deve imparare però a rappresentare un punto di riferimento per il suo “cavallo” dipendente.
Sdoganiamo in maniera assoluta e definitiva la possibilità che vedere il dipendente come “cavallo” sia dispregiativo: non lo è, anzi. Nelle popolazioni pellerossa dell’America c’era la più grande devozione e rispetto per il cavallo e per i cowboy il cavallo faceva spesso la differenza fra vivere e morire: quindi, pur in rapporto di lavoro, il cavallo era considerato come prezioso e degno di rispetto: i ladri di cavalli commettevano nel west ottocentesco un reato talmente grave che era sanzionato con l’impiccagione, proprio per dissuadere chiunque dal rubare un cavallo.
Detto questo e quindi avendo definitivamente sgombrato il campo da ogni giudizio non positivo legato alla metafora cavallo- dipendente, possiamo procedere più… sereni!
Montare a cavallo vuol dire andare CON il cavallo e non A cavallo: in pratica ciò significa acquisire l’autorevolezza per guidare …e non solo avere il coraggio di salire in sella.
In termini pratici manageriali ciò significa acquisire la capacità di comunicare, in tutti i modi e in modo credibile, la propria leadership, la propria capacità di guidare e motivare non solo ad essere seguiti, ma ad essere portati là dove si vuole andare.
Le persone infatti non sono disponibili a seguire i leader se questi non sono effettivamente tali.
Il movimento, il lavoro, la concentrazione costano fatica e impegno.
Lavorare è scomodo e poco piacevole (questo è il motivo per cui quando lavoriamo siamo pagati e quando ci divertiamo, magari andando al cinema, allo stadio o a ballare, siamo noi che paghiamo) e quindi il dipendente, l’impiegato, l’operaio spesso perdono di iniziativa, di impegno, di coraggio e di volontà…quando hanno raggiunto il loro obiettivo personale e di sopravvivenza, cioè incassato lo stipendio.
E questo accade sempre e spesso ben prima che gli obiettivi del manager si siano concretizzati e raggiunti!
Quindi il manager che vuole raggiungere gli obiettivi aziendali e comuni deve motivare e guidare i propri collaboratori esattamente come farebbe con un cavallo.
Basta una carota? Certo che no, ma può aiutare!
In realtà il guidare altre persone e motivarle a fare cose è un’arte complessa che comprende capacità di comunicare, esempio, empatia, sensibilità, autorevolezza e autorità, compassione e determinazione.
E FOCUS!
Cosa si intende con FOCUS: il termine non è traducibile in italiano, pur essendo chiaramente una parola latina che però gli americani ci hanno scippato e hanno riempito di significati estesi.
Focus è a capacità di concentrarsi sull’obbiettivo al punto di ispirare altri nella stessa direzione.
Ancora una volta ci viene in soccorso l’equitazione: per un no quale magia, ma il cavallo percepisce dov’è l’attenzione del cavaliere e si focalizza sullo stesso punto.
Si tratta in realtà di un istinto di branco, nato per l’autodifesa contro i predatori.
Fateci caso guardando qualche documentario su cavalli.
Il branco pascola tranquillamente, tutte le teste dei cavalli sono basse, a terra, a brucare l’erba….
Ad un tratto un esemplare ala la testa e guarda in una direzione, verso la quale ha percepito un qualche segnale.
Immediatamente altre teste si alzano e si orientano nella stessa direzione a cercare conferma del segnale ricevuto e per catalogarlo come pericoloso.
Questa forma di comunicazione non verbale e puramente fisica salva il branco dall’attacco a sorpresa del predatore.
Quando un cavaliere monta in sella si forma un mini -branco di due elementi: cavallo e cavaliere.
Il cavallo segue il punto verso il quale il cavaliere pone la sua attenzione, il suo FOCUS.
Se il cavaliere ha un Focus lontano, il cavallo, se si è creata un ‘intesa ed un affiatamento con il suo cavaliere, guarderà nella stessa direzione, non solo …ma addirittura muoverà in quella direzione se il Focus del cavaliere sarà determinato ad avvicinarsi a quel punto lontano.
Viceversa, se dopo aver focalizzato un punto lontano, il cavaliere si volterà di scatto verso un ‘altra direzione, quello sarà il segnale per allontanarsi (ed in fretta); se invece il cavaliere riabbasserà lo sguardo verso terra, ponendo il Focus nella posizione in cui si è …il cavallo, quasi sicuramente si fermerà e si rimetterà a brucare l’erbetta.
Nella gestione di un team, sembra incredibile, succede la stessa cosa: se il leader riesce a focalizzarsi con grande enfasi e determinazione su un obiettivo, spiegandolo, descrivendolo, VISUALIZZANDOLO nella mente dei propri collaboratori, questi “vedranno” lo stesso obiettivo e saranno esortati all’azione.
È la VISIONE che fa da guida ed esorta a compiere la MISSIONE.
Un buon leader è un “creatore di visioni” che però fa questo con grande autenticità e sincerità perché è il primo a credere nella visione creata ed è questa determinazione a credere, questo FOCUS, che comunica agli altri.
I collaboratori hanno la stessa Visione del leader? No, o quasi sicuramente, non una identica immagine, ma qualcosa che corrisponde ad un successo, al raggiungimento e soddisfacimento di un bisogno, alla concretizzazione di un desiderio e di un riconoscimento che è il loro, anche se diverso come forma dall’obiettivo generale.
Il leader deve saper dare una Visione coinvolgente: se l’obiettivo è aumentare il fatturato del 30% …che Visione deve dare il leader per far capire qual è il vero obiettivo da raggiungere che costituirà il successo di ogni componente del suo team???
Difficile dare consigli sulla cosa? Più facile lavorare, concettualmente, sul come, anche se molto più impegnativo in termini di energie richieste: che Visione crea il cavaliere per il cavallo? NESSUNA. Perché a livello di comunicazione non sarebbe in grado né di comunicare una visione appetibile e rassicurante per il cavallo, né potrebbe comunicarla efficacemente a parole.
E allora: è la determinazione, il FOCUS verso l’obiettivo, la tensione massima ed estrema verso quel punto da raggiungere che fa capire al cavallo che, se il suo leader vuole andare laggiù con tanta intensità e
desiderio, allora “laggiù” è un posto buono per entrambi!
Perché un buon leader, un buon capobranco, guida verso un buon posto per tutto il branco!
Per essere leader convincenti e credibili quindi occorre:
- un obiettivo
- un FOCUS fortissimo verso l’obiettivo
- la credibilità che viene dall’esempio, dall’energia e dalla comunicazione autentica e sincera
- la determinazione totale
- la resilienza per continuare a puntare l’obiettivo sempre e per sempre
Facile? NO!
Ma spesso è l’unico modo per essere un buon leader e manager.
La credibilità che acquisisce fiducia e rispetto è il Valore principale sul quale il manager deve lavorare in sé stesso.
La credibilità di un comportamento coerente, del dare seguito concreto alle promesse e agli impegni presi, la credibilità che nasce dal fare ciò che si dice e dire ciò che si fa.
Il collaboratore viene motivato dalla fiducia verso il suo “capo” e la fiducia è fatta di promesse mantenute.
Gli argomenti di motivazione possono essere in concreto diversi e non sono sempre legati alla sfera del guadagno economico, anzi.
Gli elementi motivati premianti ed efficaci sono legati alla capacità di soddisfare i bisogni del collaboratore.
Ci sono collaboratori per i quali il bisogno è di tipo economico, altri per cui le necessità sono invece basate su orari e tempo libero, altri ancora che cercano l’affermazione ed il riconoscimento del benefit evidente e manifesto e infine anche quelli il cui bisogno principale è la stabilità e la tranquillità.
Il manager è quindi colui che è in grado di generare visioni nelle quali, per ognuno dei diversi bisogni e differenti aspettative, il collaboratore vedrà il soddisfacimento.
E l’aspettativa di un risultato positivo sarà la forza motrice che attiva all’azione e alla perseveranza.
Quindi, allo stesso modo di quanto succede con il cavallo, la motivazione del leader / cavaliere a raggiungere un certo posto non sarà basata sulle stesse aspettative di chi in quel posto lo porterà, cioè il suo cavallo.
Non c’è e non ci può essere identità di obiettivi nel concreto, ma si può solo avere condivisione del Focus e
trasmissione percettiva di un desiderio …
I top manager che fissano obiettivi sfidanti, premianti e gratificanti a livello aziendale spesso vedono il loro entusiasmo deluso e frustrato da una risposta tiepida e demotivata da parte della loro azienda: dipende essenzialmente da due elementi:
- la visione per il raggiungimento di quegli obiettivi non è percepita e trasmessa in modo da raggiungere e toccare le aspettative dei collaboratori per il soddisfacimento dei loro bisogni
- la credibilità dei manager non è adeguata o riconosciuta
Parliamo con qualche esempio per intendersi meglio; mi riferisco a esempi derivati da esperienze reali e concrete.
Caso 1. Positivo
Obiettivo della direzione aziendale: aumento della produttività e del risultato economico in termini di fatturato e marginalità.
I mezzi per conseguire l’obiettivo sono tradizionalmente basati su aumento dei volumi di produzione, ottimizzazione dei processi e riduzione dei costi.
Esposto in termini di dati ecomomico-finanziari, l’obiettivo risultava poco stimolante e motivante, anche se legato ad un incremento economico di retribuzione, con un premio espresso in percentuale.
Il fatto è che un premio extra pari anche alla stessa percentuale di aumento del fatturato attesa (15 %) risultava poco appagante nei confronti del valore in busta netto per il dipendente medio.
La proposta è stata quindi diversa: l’obiettivo è stato spostato sul benessere del dipendente in azienda e sulla maggiore disponibilità di tempo libero.
L’obiettivo è stato riarrangiato in termini di raggiungimento di una riduzione di orario di lavoro e di maggiore flessibilità per rendere più sostenibile per ogni lavoratore la gestione del suo tempo dentro e fuori dall’azienda.
Con questo obiettivo gli stessi collaboratori sono diventati innovatori di processo, abbassando i tempi per svolgere le stesse funzioni e riducendo le perdite di tempo. La possibilità di ridurre le giornate lavorative ha inciso direttamente sui costi di struttura (riscaldamento, pulizie, manutenzioni, servizi…) senza intaccare la produttività che, al contrario, è aumentata. C’è stato un crollo dell’assenteismo.
In termini pratici l’azienda ha visto un aumento di produzione, con riduzione dei costi di gestione e quindi un aumento di fatturato e marginalità…Sono stati raggiunti gli obiettivi economico finanziari che erano alla base, ma attraverso una rimodulazione degli obiettivi stessi in funzione dei veri bisogni del personale.
Caso 2. Negativo
Grande azienda del centro Italia in crisi di risultati, La direzione chiede al personale di essere disponibili a sostenere alcuni sacrifici in termini di pagamento degli stipendi e di essere leali e fedeli nel non abbandonare l’azienda in un momento critico, “stringendo i denti “.
La risposta dei collaboratori è matura e responsabile: nonostante i ritardi nei pagamenti degli stipendi, i lavoratori continuano a lavorare, sobbarcandosi anche spese di trasferta che prima risultavano sopportabili in virtu’ di una retribuzione pagata con regolarità.
Poi, un “bel giorno” sui social compaiono foto della famiglia del titolare in vacanza su uno Yacht in Costa Azzurra e nella villa nella stessa lussuosa location.
Immediatamente inizia l’abbandono dell’azienda da parte dei collaboratori più esperti e capaci e …l’inizio di un progressivo processo di erosione del personale fino al fallimento.
In questo secondo esempio è evidente come sia venuta meno la credibilità della Direzione Aziendale che chiedeva di stringere i denti al proprio personale, mentre si mostrava felice a godere di vacanze di lusso.
Un errore di comunicazione mastodontico …ma molto meno raro di quel che si pensi.
È capitato personalmente anche a me, nella mia ultima esperienza come dipendente di una piccola azienda del bolognese, all’indomani della comunicazione di uno stato di crisi interna che aveva portato alla decisione di mettere in mobilità diversi dipendenti e di licenziare anche il sottoscritto per i costi di retribuzione non compatibili con la crisi, di assistere alla consegna al titolare dell’ultimo modello di Mercedes il cui costo era equivalente alla mia retribuzione lorda annuale!
Zero credibilità!
IL gioco è molto semplice, ma impegnativo: se si chiedono sacrifici, bisogna essere disposti a farli e soprattutto deve esserci un risultato che porta ad un beneficio per tutti coloro che quei sacrifici li avranno sostenuti.
Se si fanno promesse, le promesse vanno mantenute.
Ma anche …se non si ottengono risultati, non si ottengono nemmeno benefici.
La motivazione e la spinta all’azione dei collaboratori si basa quindi sulla credibilità di chi guida, sulla sua fiducia in sé stesso, nel suo team e nel conseguimento dell’obiettivo, sulla sua credibilità e reputazione.
Bisogna imparare ad essere “cavalieri” rispettosi e leali, autorevoli e sinceri, giusti e sensibili per poter convincere il “cavallo” a portarti laggiù dove vuoi andare!
È lo stesso con le persone!
La mossa del Cavallo è quindi l’adottare questo comportamento che può sembrare distonico e non convenzionale, soprattutto rispetto a modelli di leadership più tradizionali e meno autentici.
È come la mossa del Cavallo nel gioco degli scacchi: non è un movimento rettilineo, veloce, diretto…anzi è una mossa asimmetrica, strana, quasi illogica …ma spesso vincente.







