Premessa.

La sfida della ripresa post-pandemica passa anche per lo sviluppo delle PMI. Sfruttare le risorse che saranno stanziate dal Piano di Resilienza e Rinascita Nazionale (PNRR) appena approvato, finanziato dal Recovery Fund, permetterà uno slancio dell’economìa nella prospettiva di una ripresa robusta, come abbiamo visto nel precedente articolo pubblicato.

Per sfruttare questo treno, le PMI saranno chiamate alla sfida della crescita e dello sviluppo che non potrà essere perseguita se non puntando a mercati in fortissima crescita.

I mercati americani e asiatici (Usa e Cina in particolare) rappresentano la grande terra di conquista di questi ultimi anni. I tassi di crescita sono altamente competitivi e rappresentano per il Made in Italy un obiettivo di lungo periodo. L’Italia ha 1500 prodotti leader nelle esportazioni per un totale di 234 miliardi di dollari di surplus commerciale (dati fondazione Edison UN Comtrade).

Sono necessari un’organizzazione interna adeguata, una pianificazione corretta dell’equilibrio tra investimenti e debito, soprattutto in forma di capitale, e un management adeguatamente preparato alla sfida. Ancora di più per tutte quelle PMI che stanno affrontando una revisione degli assetti organizzativi, amministrativi e finanziari (Codice della Crisi), e soprattutto per quelle che sono in fase di passaggio generazionale. Una fase, quest’ultima che si accompagna sempre alle decisioni sulle deleghe e sugli strumenti di controllo di gestione e di pianificazione strategica per assicurare un passaggio graduale, ben pianificato ed efficace.

Gli strumenti attualmente disponibili sul mercato sono tanti. Il livello di digitalizzazione raggiunto nei campi dell’intelligenza artificiale, dell’Internet of Things e di tutte le tecnologie produttive consentono di lavorare sulla produttività (VR-AR) e redditività delle PMI con risultati eccellenti.

Nei prossimi paragrafi esamineremo come una PMI può decidere di strutturarsi, ricercare la giusta finanza in maniera “aperta” dal punto di vista del capitale per finanziare l’espansione verso nuovi mercati e nello stesso tempo creare le condizioni per il passaggio generazionale con una struttura moderna, efficiente e sostenibile.

L’internazionalizzazione come sfida per lo sviluppo.

La ripresa economica sta già prendendo consistenza dopo un 2020 fortemente condizionato dalla crisi pandemica e lo scenario per un ritorno da protagonista del “made in Italy” nel commercio mondiale è cambiato profondamente rispetto al passato.

Sul fatto che l’internazionalizzazione sia, tendenzialmente, la via che le aziende italiane debbano perseguire per lo sviluppo dell’impresa, non ci sono dubbi; ora però la competizione economica aziendale coinvolge anche il fattore dimensionale, fondamentale per effettuare gli investimenti necessari per entrare o crescere nei nuovi mercati e per completare la transizione digitale, che a sua volta è un motore di competitività perché incide sulla produttività, un terreno in cui negli ultimi anni l’Italia è stata più debole di altri Paesi.

Se diversi studi negli ultimi mesi hanno evidenziato come le aziende più internazionalizzate siano quelle meglio capitalizzate e avanzate tecnologicamente, esiste un numero crescente di imprese italiane che ha deciso di agire per affrontare la sfida dell’internazionalizzazione: una sfida manageriale di trasformazione e di espansione del proprio business perché, in un mercato che si muove nella globalizzazione, la proiezione internazionale e l’export non rappresentano più una semplice scelta, ma un processo inevitabile e una condizione fondamentale per il futuro di molte PMI. Il mondo globale in cui si trovano ad operare, per definizione richiede un incremento della “massa critica” media dell’azienda, in termini di: capacità d’acquisto internazionale, struttura organizzativa, tecnologia di produzione, articolazione della forza di vendita, digitalizzazione, branding, forza contrattuale data dal valore offerta al mercato, ecc.; nel complesso ritagliarsi uno spazio sui mercati stranieri significa: studiare, organizzare e gestire il proprio intervento per avere una visione chiara del contesto in cui si decide di operare, analizzare le dinamiche di settore e quelle dello scenario macroeconomico.

In particolare non possono essere dimenticati le principali due aree di traino del commercio internazionale, ovvero: Nord America ed Estremo Oriente.

Lo studio Ice-Prometeia stima che il Nord America già alla fine del 2021 sarà su livelli di Pil superiori al 2019 e pertanto verranno premiate le aziende italiane più capaci di puntare sull’area.

Inoltre, per le imprese tricolori, rimane fondamentale il presidio del continente asiatico, in particolare dei 15 paesi firmatari dell’accordo Rcep (Regional Comprehensive Economic Partnership) che comprendono dalla Cina alla Cambogia, dalle Filippine alla Repubblica di Corea, dall’Indonesia alla Tailandia, fino al Vietnam. Si tratta di mercati che valgono nel complesso per la Penisola 39 miliardi di euro (l’8% dell’export italiano), dove già nel 2021 la crescita dell’import sarà superiore di almeno due punti a quella attesa per la media degli scambi mondiali.

Tuttavia ogni PMI, prima d’intraprendere un processo d’internazionalizzazione e gettarsi così nella competizione globale dovrebbe chiedersi se è pronta per presidiare i nuovi mercati esteri. Per fare business stabile e remunerativo con acquisitori di paesi lontani e diversi sia dall’Italia che fra di loro, occorre avere una chiara coscienza del fatto che i mercati internazionali spesso sono:

  • esigenti in termini di livello e di stabilità della qualità e del servizio;
  • impongono programmazioni molto precise dei lotti e dei tempi di consegna;
  • richiedono prezzi molto competitivi che tuttavia devono assicurare all’azienda i necessari margini per lo sviluppo;
  • presentano problemi per la diffusione della conoscenza e riconoscimento del brand.

Il tutto poi deve essere pervaso da tecnologie hardware sempre più avanzate e da tecnologie software in rapido cambiamento, entrambi richiedenti rapidi ammortamenti. Insomma … occorre fare profitti con la competitività.

L’azienda conseguentemente deve (i) possedere, oltre agli standard di business richiesti nel mercato di riferimento, Competenze Distintive di chiara soddisfazione dei Fattori Critici di Successo del mercato di riferimento per godere di uno o più Vantaggi Competitivi (ii) non avere “debolezze strutturali”, ovvero debolezze che richiedono significative risorse per la soluzione in un mondo che invece “corre velocemente” ed è iper-competitivo.

In un mondo in continua evoluzione sia tecnologica che comunicativa, si pone il problema della rapidità decisionale, relativa implementazione e ritorno sull’investimento. Non è più possibile attendere che (i) il management e l’organizzazione facciano esperienza nel medio-lungo periodo (ii) margini e cassa della gestione ordinaria assicurino la copertura economica e finanziaria degli investimenti (iii) abbandonare il mercato ai primi insuccessi (iv) mancare di forza competitiva (v) “speculare” su ciò che è necessario per raggiungere l’obiettivo.

Conclusione: o l’azienda è pronta per l’internazionalizzazione o, molto probabilmente, non avrà il ritorno sull’investimento comunque necessario.

Quanto osservato e concluso sopra apre un discorso molto ampio di accortezza nel far coincidere e allineare gli obiettivi con le Risorse disponibili. Se gli obiettivi sono ambizioni, così come devono essere in un mondo globale, le risorse debbono essere significative. Quattro sono le risorse, non uniche ma fondamentali:

La prima delle risorse rimane l’imprenditore” che “deve cambiare un po’ il suo approccio” ovvero deve abbandonare sempre più per quanto possibile il “fare” (responsabilità della produzione e/o della R&D e/o del commerciale …) per dedicarsi sempre più alla “gestione” della sua organizzazione aziendale e di mercato in un’ottica di mero indirizzo/controllo per uno sviluppo di medio-lungo periodo.

La seconda risorsa è data dalla combinazione organizzazione/management, ovvero:

  • una organizzazione efficiente in termini di costo ed efficace in termini di risultati
  • un management capace di gestire, da una parte, sia soggettivamente che oggettivamente le risorse aziendali a lui affidate e, dall’altra, avere una visione comune dell’esterno e interno aziendale tale da interagire al meglio con tutta l’organizzazione per le comuni finalità
  • un insieme capace di costruire valore, per quanto possibile esclusivo e stabile nel tempo, per il mercato.

La terza risorsa è la capacità di attrarre e gestire le risorse umane di tutti i livelli dell’organizzazione più atte alle finalità dell’impresa. Quindi capacità di: branding, motivazione e incentivazione, prestigio, orgoglio aziendale, responsabilità personale e di gruppo ecc. …. Modelli giapponesi, diverse aziende italiane di tutte le dimensioni, multinazionali che tutti conosciamo, dimostrano come questa risorsa causi “incredibili” ritorni sull’investimento.

La quarta risorsa è la tecnologia: di SW, HW informatico e digitale, di processo e logistica, di management della complessità e conseguente decision supporting.

Quanto esposto sopra richiede risorse finanziarie e di know how imprenditorial-manageriale quantitativamente e qualitativamente non disponibili in pieno nel breve, anche in PMI ad alto valore d’offerta al mercato. I problemi sono dati dal poco tempo disponibile, dalla rapida obsolescenza degli investimenti e dall’elevato rischio d’impresa su mercati globali instabili sia politicamente che economicamente.

Occorre allora che la PMI si avvicini alla “gestione straordinaria d’impresa”, ovvero a sviluppare operazioni di aggregazione, riassetto, alleanza, per un ripensamento del business per obiettivi di sviluppo altrimenti quasi impossibili da ottenere.

“AICIM – Associazione Italiana per la Cultura d’Impresa e di Management” si pone di fianco delle Nostre Imprese per diffondere cultura e affrontare queste problematiche tracciando la strada volta al miglioramento organizzativo e conseguentemente ad uno sviluppo industriale strategico, sostenibile, mossi dal grande motore della digitalizzazione.

Per le aziende essere sostenibili non significa solo assecondare la crescente sensibilità dei consumatori sul tema, ma sempre più spesso si tratta di un discrimine per entrare nelle filiere produttive e distributive globali, quindi integrare il tema della sostenibilità nelle dinamiche di business. In secondo luogo, ma non meno importanti, sono gli aspetti interni legati alla vita imprenditoriale: adottare politiche rispettose dell’ambiente può ridurre i rischi di incidenti che talvolta hanno conseguenze disastrose anche sul bilancio aziendale, così come adottare strategie di inclusione sociale per promuovere la diversità che rimane un fattore di arricchimento per il know-how aziendale.

La sostenibilità inevitabilmente si interseca con la digitalizzazione. Su questo fronte, la sfida viene vinta da chi applica le nuove tecnologie a tutti gli aspetti del business, dalla gestione dei magazzini, per rendere più rapidi gli approvvigionamenti, alla cosiddetta “customer care” per fidelizzare consumatori sempre più attenti ed esigenti. Chi non tiene il passo dell’evoluzione della domanda rischia di perdere capacità competitiva. Un esempio lampante è la capacità crescente di spesa dei cosiddetti millennials per i quali le strategie aziendali devono essere concertate con i loro valori, quest’ultimi improntati proprio alla sostenibilità di ciò che acquistano.

Tutto quanto di cui trattato in questo parte dell’articolo è difficile da realizzare? Certo, fosse facile lo farebbero tutti con successo e non sarebbe più un valore imprenditoriale. Impossibile? No. Le risorse esterne sia umane, sia strutturali, sia finanziarie sono disponibili.

All’ombra di corrette Mission, Vision e Valori, occorre essere pronti per modelli diversi di collaborazione per obiettivi comuni di più alto livello. Non va per chi vuol essere solo un capo. Va per chi cerca sviluppo di valore per sé, gli altri e l’intera società.

La finanza a supporto della crescita e le strategie di pianificazione.

“Il fatturato è vanità. Il profitto è salute. La cassa è realtà!” Questa bella citazione, derivante da un detto inglese in originale “Revenue is vanity. Profit is sanity. Cash is reality” dovrebbe essere un MANTRA per tutte le imprese.

Certamente la crescita si misura in prima battuta con il fatturato, tutti corrono per fare fatturato e naturalmente va fatto di tutto con gli strumenti a disposizione, affinché questo aumenti sempre o per lo meno non diminuisca. Se tale crescita però non si traduce in adeguati margini e non produce cassa nei tempi giusti tutto questo rimane vanità. Chiaramente la crescita di fatturato (ad esempio l’acquisizione di nuove commesse, nuovi clienti, o la penetrazione in nuovi mercati, ecc…) deve essere opportunamente valutata poiché richiede spesso un aumento dei costi (personale, macchinari, ecc…) e della complessità (che se non gestita si traduce in inefficienza). Ecco, quindi che la marginalità misura la “sanità” di un business, cioè la sua capacità di produrre reddito. Ma anche questo non basta. Anche se il conto economico produce utile, l’azienda non sopravvive se il denaro non entra in cassa. Solo un flusso di cassa stabile e affidabile può davvero mostrare il successo di un’impresa e dar vita ad un’ulteriore crescita del business.

Chi vuole crescere, ha bisogno di fondi per farlo. Le imprese quindi, prima di ogni progetto di espansione, devono chiedersi quale sia il finanziamento giusto. Solo un confronto critico con il tema può trasformare euforiche ambizioni di crescita in un processo di successo e quindi anche sostenibile.

La crescita per essere sostenibile passa necessariamente attraverso la patrimonializzazione aziendale perché la solidità finanziaria è una componente essenziale per garantire il successo di un progetto di crescita a medio lungo termine. D’altronde il primo a dover credere nel successo del suo progetto deve essere l’imprenditore stesso ed attrarre intorno a sé le persone giuste, in grado di sostenerlo sia finanziariamente sia managerialmente. Per patrimonializzare un’azienda tre sono le possibilità:

  • Autofinanziamento (l’imprenditore trattiene negli anni i propri guadagni in azienda, per investirli in un progetto di crescita). Vantaggi: L’azienda resta indipendente. Svantaggi: Il rischio resta tutto in capo all’imprenditore stesso e le sue forze sono limitate
  • Capitale proprio o prestito aggiuntivo (Il capitale viene acquisito nel contesto privato e remunerato in modo interessante). Vantaggi: L’azienda resta indipendente. Svantaggi: il prestito può essere piuttosto oneroso e in ogni caso crea dipendenze all’interno della famiglia.
  • Investitori (Business Angels, Venture Capital o crowdfunding sono metodi attualmente in uso per arrivare ai fondi degli investitori). Vantaggi: L’investitore può essere un partner strategico che con la sua esperienza e una rete di grandi dimensioni può accelerare la crescita. Svantaggi: Gli investitori in genere si attendono rendimenti elevati e vogliono esercitare un influsso. (Per approfondire questo tema si rimanda al ns articolo “Gli strumenti che la finanza alternativa mette a disposizione delle PMI” – link 2°parte + link 3°parte )

Ma per attrarre nuovo capitale è necessario sviluppare una corretta strategia capace di valorizzare e differenziare la propria azienda o business, ripartendo dal proprio mercato, ridisegnando, se necessario, il proprio modello di business in funzione di ciò che davvero funziona e rende “la macchina” più performante.  La capacità di volersi rimettere in gioco, di analizzare ciò che è stato fatto in maniera “critico/analitica”, per, poi, ripartire e ridisegnare un nuovo modello può solo aiutare a migliorare la percezione, da parte del mercato e non solo, dei pregi, dei valori e dei benefici che il proprio business – a differenza di altri- può garantire.

Per cogliere le opportunità bisogna necessariamente lavorare e favorire la crescita aziendale (sia dimensionale, sia organizzativa, in ottica manageriale). Per fare ciò è necessario individuare i punti fondamentali da sviluppare e potenziare, nonché identificare le proprie debolezze, i processi chiave su cui intervenire per migliorare efficacia ed efficienza. Serve identificare in maniera netta i propri fattori critici di successo sui quali puntare, avendo chiari i gusti e le attitudini della clientela, l’offerta, ossia i prodotti e i servizi forniti, e il processo di vendita. Inoltre, un altro importante fattore da tenere in considerazione è rappresentato dalla concorrenza (sia diretta che indiretta) che gioca un ruolo piuttosto significativo. Fondamentale a tal proposito risulta la stesura di un Business Plan Strategico, attraverso il quale vengono riepilogate le principali linee strategiche e gli obiettivi economico-finanziari al fine di pianificare in maniera dettagliata gli investimenti e le richieste di finanziamento. Inoltre, l’apporto consulenziale di un Advisory competente e preparato rappresenta un’ottima soluzione in periodi così complessi (ad esempio, crisi, stagnazioni aziendali, ricambio generazionale, ecc..) e straordinari, poiché mette a disposizione delle aziende competenze e relazioni, spesso assenti nelle nostre PMI, che permettono di affrontare con professionalità e razionalità revisioni e modifiche profonde anche al modello business, per adeguarlo ai nuovi scenari che l’azienda dovrà affrontare. Quest’ultimo non potrà prescindere dallo sviluppo interno di competenze di management e controlling, acquistando importanza fondamentale strumenti quali il budget (economico e finanziario), il controllo periodico dell’andamento e reportistica direzionale, con l’obiettivo, condiviso ad ogni livello aziendale, di potenziare gli utili e minimizzare le perdite.

Il piano industriale è ancora spesso unicamente ricondotto alla tematica della pianificazione economico finanziaria di medio e lungo periodo. Dovrebbe diventare lo strumento a supporto della pianificazione strategica, conseguente alla definizione di scenari anticipatori dettati dalla formulazione di una strategia.

Il piano, espresso nella sua componente qualitativa (descrittiva) e quantitativa (numerica), rappresenta l’elaborazione nella quale sono descritte le attività pianificate dal management aziendale per raggiungere le performance derivanti dall’applicazione delle strategie consequenziali allo scenario prospettico ipotizzato.

In un’ottica di management orientato alla creazione di valore aziendale di lungo periodo, appare necessaria la presenza di una cultura aziendale propensa a facilitare e supportare fattivamente i cambiamenti impliciti nel piano industriale. Il tutto creando una situazione di diffusa informazione, tale da rendere più difficile il verificarsi di un errore.

Uno degli aspetti più critici per la crescita delle piccole e medie imprese è legato proprio alla mancanza di figure manageriali preparate, in quanto gli investimenti in capitale umano sono ritenuti a volte troppo onerosi rispetto alle dimensioni aziendali; persistono, inoltre, problemi di “cultura” aziendale spesso resistente al cambiamento. Una scarsa attenzione verso le figure manageriali può rappresentare un limite decisivo alla possibilità dell’impresa di svilupparsi e di sfruttare eventuali opportunità esterne favorevoli legate ad aggregazioni e acquisizioni aziendali.

Analizzando il contesto attuale possiamo affermare che nonostante i problemi sopra rilevati, la finanza sta comunque spingendo le imprese a cogliere queste opportunità. Già prima della pandemia l’enorme massa di liquidità che le banche centrali hanno regalato ai mercati finanziari stava indubbiamente fungendo da acceleratore degli eventi, spingendo anche le aziende più recalcitranti ad aggregare o aggregarsi con altre aziende, siano esse partner o concorrenti, fornitrici o distributrici, cambiando sostanzialmente pelle e natura dei loro business ma con una logica prevalente: incrementare il valore per i propri azionisti, a costo di lasciare per strada masse intere di lavoratori, grandi tradizioni artigiane e industriali, e persino negozi ed empori di ogni sorta, vittime dell’onda travolgente del commercio elettronico.

Persino in Italia, dove tutto accade più lentamente, quantomeno a causa della pesante burocrazia, nel primo trimestre del 2021 il volume delle fusioni e acquisizioni è cresciuto, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, del 161% (fonte: società di revisione BDO nel report annuale “Horizons”). La sottocapitalizzazione delle imprese, la scarsità di credito ordinario e la necessità di investire pesantemente (tutte variabili strettamente legate alla finanza) hanno indubbiamente giocato un ruolo centrale in questo vero e proprio boom di operazioni. Anche la necessità di adeguarsi alle normative e alle tendenze sulla sostenibilità del contesto ambientale, l’accentuarsi della concorrenza internazionale, i danni al conto economico derivanti dalla serrata di molti esercizi pubblici e il ricambio generazionale (con la profonda modificazione delle priorità – si pensi alla salute – e delle abitudini dei consumatori) hanno fatto il resto.

In molti casi le operazioni straordinarie derivano dalla necessità di tamponare le perdite e le insolvenze, che in Italia restano spesso al vertice delle priorità aziendali, almeno per le imprese medie e piccole. Ci sarà un incremento delle procedure concorsuali e ci saranno ulteriori licenziamenti ma il venire meno delle attività obsolete potrà generare anche nuove iniziative perché il cambiamento genera sempre opportunità, per chi è pronto a coglierle.

L’Italia rischia dunque di uscire piuttosto malconcia dalla crisi pandemica, ma in una cosa il virus avrà un effetto decisamente positivo per il nostro Paese: lo svecchiamento forzoso che ne deriverà, accelerando i passaggi generazionali e diffusione di competenze manageriali e finanziare.

Nella parte II proseguiremo con l’organizzazione necessaria al passaggio generazionale e alla digitalizzazione come supporto allo sviluppo. Continuate  a seguirci.

A cura del Tavolo Finanza e Controllo

Coordinatore del Tavolo: Andrea Spensieri
Contributi tecnici: Federico Truscelli, Marco Curti, Alessandro Pistagnesi, Lucia Romagnoli, Michele Vanzi, William Di Cicco