Premessa
Questo articolo si pone innanzitutto l’obiettivo di far capire, con parole semplici, come si possono migliorare le attività afferenti alla scelta di una persona per un’attività lavorativa dell’azienda, a prescindere dalle dimensioni. Spesso, infatti, si danno per acquisiti termini quali HR, job description, assessment, hard skill, soft skill, ecc., prescindendo peraltro dal contesto – territoriale e lavorativo – in cui sono nati.
Chiariamo quindi che gli imprenditori e i loro collaboratori che si occupano di ricerca e selezione, nonché impiego delle persone, hanno da sempre utilizzato metodi per scegliere a chi dare l’onere e la responsabilità di uno specifico incarico. Metodi empirici, più o meno strutturati e/o scientifici, in base all’esperienza e ai risultati ottenuti. Cioè, nulla di nuovo. Allora perché cambiare?
Chi ha detto che è necessario cambiare? E chi decide di farlo?
Solo l’azienda, l’imprenditore e, più in generale, chi si occupa di persone può decidere se, quando e come cambiare. Compito dei ‘tecnici’ è illustrare le differenti modalità di approccio, i tempi e i costi in base agli auspici e agli obiettivi da perseguire.
Punto di partenza: l’esigenza.
Qual è la posizione per la quale si cerca una persona? È nuova? Già la ricopriva qualcuno? Quali sono le dimensioni qualitative (che cosa deve saper fare) e quantitative (tempi, risorse finanziarie, collegamenti, collocazione gerarchica…).
Sono solo alcune delle domande che, normalmente, ci si pone per impiegare o sostituire qualcuno. Lo facciamo con tale naturalezza da non soffermarci minimamente sul processo messo in atto, andando subito ‘al sodo’. Ed è altrettanto naturale dire – o sentir dire – che quella persona “mi piace”, “non mi sembra adatta”, “si vede che è del mestiere”, ecc. ecc.. Tutte considerazioni legittime e spesso anche azzeccate per il posto di lavoro che abbiamo in mente.
Qual è la novità? Se siete arrivati a leggere fin qui, vuol dire che qualche dubbio lo avete o lo avete avuto in passato. Precisiamo pertanto che il percorso inizia ponendosi le domande giuste.
Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare (Seneca)
Introduzione
Qual è il valore aggiunto del quale poter disporre leggendo le prossime righe? La comprensione di un processo di valorizzazione delle persone, in chiave aziendale, professionale, moderna e motivante. Non sfuggirà infatti, all’attento lettore, quale strada intraprendere per sviluppare un percorso virtuoso da gestire nel proprio ambito settoriale o delegarlo, con gli stessi requisiti, ad agenzia specializzata nella ricerca e selezione. In entrambi i casi, un buon risultato dipenderà dalla corretta costruzione della job description, ovvero della posizione lavorativa da ricoprire/ripianare.
La job description non è il mansionario: precisiamolo subito! I compiti previsti per un incarico/funzione, seppur riportati su un contratto lavorativo, rappresentano in minima parte la descrizione di una posizione: la job description è molto di più. In essa sono riportate le attività svolte ma anche le responsabilità di chi ricopre la posizione, le dimensioni e i collegamenti (dal budget di cui si dispone al numero di collaboratori, dalle relazioni lavorative (interne ed esterne) agli stakeholder, ecc.. Inoltre, ed è la parte di cui ci occupiamo specificamente, le hard skill e le soft skill necessarie per ricoprire la posizione in modo quantomeno ‘adeguato’ (su questo torneremo).
Hard Skill = competenze tecniche (ed esperienze) necessarie per poter svolgere quanto richiesto. E potremmo non aggiungere altro. Sapendo cosa deve fare la persona che dovrà ricoprire la posizione, è immediato descriverne i titoli, cosa deve conoscere, cosa deve saper fare praticamente. Sembrerebbe addirittura banale ma, purtroppo, non è così. Tendenzialmente si è portati ad aggiungere più di quanto realmente necesario (non si sa mai!), tendendo peraltro a generalizzare (un po’ di questo, un po’ di quello…) ed è quindi difficile stabilire quanto effettivamente utile e il livello della competenza (hard) da cercare e valutare preventivamente (consigliato farlo, in ogni caso, con gli strumenti che vedremo dopo).
Soft Skill = competenze comportamentali, ovvero quelle capacità trasversali che facilitano/ostacolano l’espressione delle hard skill nell’ambito lavorativo di riferimento (possono essere diverse, a seconda del tipo di ruolo ricoperto, del luogo dove si opera, ecc.). Sono più difficili da rilevare, senza alcun dubbio, ma da inserire nella job description (al pari delle hard skill) in base al tipo di lavoro richiesto e al ‘livello di adeguatezza’ necessario per conseguire gli obiettivi aziendali. Come i muscoli, le soft skill possono essere stimolate/allenate, tenendo però presente che le caratteristiche individuali di partenza possono realmente fare la differenza (diventare un campione sportivo richiede sicuramente motivazione e impegno ma, se non si possiedono i requisiti minimi, lo sforzo potrebbe rivelarsi inefficace).
Le soft skill potrebbero peraltro sembrare complesse da individuare (se si cerca un supereroe); invece, nella realtà, dipende da cosa realmente utile per svolgere l’incarico (e non una generica posizione, magari apicale), nonché dal livello di adeguatezza che si decide di misurare per conseguire i risultati auspicati. Ed è qui che il ‘tecnico’ può essere d’aiuto per identificare le corrette capacità (imprescindibili, fondamentali e auspicabili) da inserire nella job description, innanzitutto, e da rilevare/misurare nella persona da assumere o che intendiamo promuovere (il processo può risultare utile anche in questo caso).
Infine, prima di passare all’assessment, riteniamo precisare che a ogni singola persona dell’azienda corrisponde una job description e se una persona ricopre più posizioni – seppur temporaneamente – dovrà riferirsi a più job description (ovvero l’organigramma aziendale prevede più posizioni di quelle necessarie, se non si dispone di supereroi). Una tempistica periodica funzionale richiederebbe, in regime routinario, di rivedere l’organigramma (e le singole job description delle posizioni) almeno ogni sei mesi.
L’assessment in azienda
Chiarito che non cerchiamo supereroi, abbiamo scelto di non trattare gli aspetti storici (dove nasce l’assessment e come si è sviluppato), rimandando a successivi approfondimenti o a specifiche richieste da parte del lettore. Ci soffermeremo invece sulla metodologia applicata alla scelta della migliore risorsa possibile tra le persone interne o esterne all’azienda. In particolare, come accennato nella premessa, ognuno di noi, ogni giorno, osserva gli altri, si fa un’idea, la esprime (spesso a persone diverse dagli interessati); in sintesi sviluppa un assessment: valutazioni empiriche, sulla base di esperienze e pratica, ricche di pregiudizi (non necessariamente negativi) e raramente strutturate.
Il valore aggiunto, nell’affidarsi a esperti, è adottare un sistema scientifico-organizzato, rigoroso e affidabile, basato su una metodologia standardizzata. Fondamentale, innanzitutto, aver chiara la finalità della valutazione (imprenditori/responsabili HR/candidati), tenendo conto del contesto e della cultura aziendale. Come peraltro anticipato nell’introduzione, tenere separate – anche nella fase valutativa – le soft skill dalle hard skill. Per questo motivo le attività devono essere quanto più possibile ‘esterne’ al contesto e alla cultura aziendale; diversamente si potrebbe agevolare chi dispone di specifiche competenze tecniche o conoscenze/esperienze in particolare.
Senza dimenticare il feedback: terminare sempre una valutazione con il confronto sui contenuti espressi, in tempi brevi dalla sessione di assessment, è sinonimo di professionalità e serietà.
Un cenno agli strumenti dell’assessment. La metodologia, nella sua forma più completa, richiede risorse (tempi e costi) che, in generale, dipendono dal ruolo da ricoprire, ovvero dal profilo della job description della persona cercata. In tal senso sono diversi gli strumenti utilizzabili per stimolare e rilevare (osservare) la capacità oggetto della ricerca, a partire dalle esercitazioni individuali: per esempio l’in-basket (studio di documenti, in un tempo prestabilito, e formulazione di risposte/decisioni da riporre in un contenitore, senza contatti con l’esterno), particolarmente utile – comunque non unicamente – nei casi di capacità cognitive e gestionali. Meglio le attività di gruppo, invece, per stimolare e osservare le capacità relazionali (un esempio pratico nel successivo paragrafo), con una sensibilità ancora maggiore se svolte in ambiente outdoor, in alternativa o parallelamente alle attività indoor. A tutto campo, con i limiti di uno strumento che non permette di verificare il possesso di una capacità ‘in azione’. i questionari comportamentali, funzionali anche autosomministrati, soprattutto in termini di consapevolezza e in preparazione a una specifica formazione. Senza naturalmente trascurare i colloqui, utili anche per la verifica delle hard skill (insieme ad altri strumenti, con prove scritte o pratiche), per un confronto motivazionale e, a parere di chi scrive, anche quale ultimo step per la decisione/scelta (a cura dell’imprenditore, del responsabile delle risorse umane o di chi dovrà impiegare la persona da assumere o da promuovere).
Due aspetti, infine, meritevoli di focalizzazione: la “Regola del 2” e il “Livello di adeguatezza”. Entrambi aspetti spiccatamente tecnici, rappresentano ciò che può fare la differenza nella scelta della persona “più adatta” a ricoprire una posizione della quale è stato costruita correttamente la job description. La regola del 2 ricorda, anche chi fa l’osservatore di assessment (cosiddetto), che la rilevazione deve avvenire per almeno due volte per ogni capacità comportamentale, in due diverse – e distinte – attività, a cura di due persone che osservano separatamente (anche per evitare effetti ‘pregiudiziali di trascinamento’). Il livello di adeguatezza è d’altro canto la scala con la quale le osservazioni assumono una valutazione analitica (prima ancora che descrittiva). Ne esistono diverse, a seconda di contesti (nel Regno Unito, per esempio, da 0 a 9; in Italia, in genere, da 0 a 4/5). Le scale adottate hanno un valore nullo (capacità non rilevata), un valore minimo (debole), un valore di adeguatezza (è quello che deve essere riportato anche nella job description, in situazioni di normalità/routine) e un possesso più che adeguato/forte (necessario in alcuni ruoli, specialmente in situazioni critiche).
Un caso pratico (soft skill: lavorare in gruppo)
Quando in un’organizzazione già consolidata i collaboratori sentono parlare di nuovi obiettivi, da raggiungere anche in termini di miglioramento comportamentale (soft skill), la prima cosa che si sentono di dire è: Ma io cosa posso fare di più? Cosa posso fare meglio?
Queste considerazioni sono lecite ma sono espressioni e ‘credenze’ che derivano dalla non consapevolezza e quindi dalla non conoscenza, dalla mancanza di cultura di che cosa si possa ottenere con semplici accorgimenti, facendo le domande giuste ed aumentando la assunzione di responsabilità di ogni componente. Un caso di applicazione molto produttivo è stato affrontato con un’azienda (con 4 sedi) il tema del “lavorare in gruppo”.
Dopo aver condiviso che tutti hanno bisogno di un gruppo e questo è ciò che serve se vuoi raggiungere degli obiettivi, nel momento storico che stiamo vivendo e con una congiuntura economica non comune (Covid, guerra, carenza di materie prime, inflazione, ecc.) è più facile vincere tutti insieme che andare ognuno per la propria strada, si è deciso di dedicare dei momenti a questo tematica. Con tutti i componenti dell’azienda riuniti in aula, la prima cosa che è stata fatta è stata quella di chiedere: Cosa significa per te lavorare in gruppo?
Ogni persona ha condiviso il suo pensiero con tutti gli altri (scrivendolo alla lavagna).
Questo ha immediatamente generato una sana e proficua discussione e un apporto di visioni e punti di vista molto interessanti, ma la cosa più importante è che ha elevato la consapevolezza delle persone che facevano le affermazioni e quindi si è innescata anche una maggior assunzione di responsabilità personale nel sostenere i concetti espressi con un inevitabile aumento di ‘responsabilità dichiarata’ da parte dei membri, cosa che non sempre era avvenuta in passato.
Lo step successivo è stato quello di chiedere: Quali capacità personali deve avere una persona per lavorare in gruppo? E di condividere con gli altri alla lavagna il proprio pensiero.
Questo ha risposto subito alle domande che ogni individuo aveva: Cosa posso fare di più e cosa posso fare meglio. Con tutta l’azienda si sono analizzati tutti i punti di vista, condividendo le azioni in base ai ruoli e alle responsabilità di ogni persona, e abbiamo condiviso tutti gli atteggiamenti e le azioni pratiche che aiutano tutta la squadra a lavorare unita e coesa; ci si è quindi impegnati a modificare alcuni atteggiamenti.
Il risultato più interessante è stato di un responsabile di ufficio con poca volontà di risoluzione dei problemi e di decisione che ha affermato che le 2 principali capacità comportamentali dovevano essere proprio quelle (che a lui mancavano) rendendosi consapevole delle sue aree da migliorare, avviando con lui un percorso che ha portato a notevoli miglioramenti esecutivi, nonché maggior stima e fiducia della persona nelle sue capacità. Soltanto la consapevolezza porta a decidere di migliorarsi.
Considerazioni sulle applicazioni
Alla luce di quanto sopraindicato, innanzitutto apriamo alla possibilità di verifiche e approfondimenti (contattando gli autori ai seguenti link: https://www.linkedin.com/in/domenico-roma-30499552 e www.linkedin.com/in/mario-corsini-consulente). Riteniamo infatti che la sperimentazione della metodologia possa aiutare più di qualsiasi studio al riguardo. Concretamente è necessario capire, provare e valutarne i risultati, partendo da se stessi.
Ogni ruolo lavorativo ha peraltro le proprie specificità e pertanto, lo ripetiamo, scrivere correttamente la job description è il primo passo per un efficace utilizzo degli strumenti dell’assessment, affidabili e validati, per non incorrere in errori di valutazione che nulla hanno a che vedere con la rigorosità del metodo. Ed è solo l’inizio di un processo di valutazione che, con il feedback alla persona osservata, può proseguire (in genere, statisticamente, è necessario) con la formazione utile al miglioramento di una o più capacità, in gruppo o individualmente. In quest’ultimo caso si parlerà di skill coaching, cioè di un allenamento finalizzato al sostegno/rafforzamento di una singola capacità (cosiddetta “bersaglio”), utile soprattutto nel caso in cui il valore rilevato risultasse al di sotto dell’adeguatezza necessaria per il ruolo ricoperto/da ricoprire. Ma di questo parleremo in un altro articolo.
Autori: Domenico Roma, Mario Corsini