L’approccio ideale dei “puristi”
Seneca osservava che non esiste un vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare. Certo che la volatilità di mercati e contesti di oggi – e di domani – fa del sapere dove andare un bell’enigma. In più, ricordiamolo, anche prima del Covid le cose non andavano bene a livello nazionale: il declino delle nostre imprese negli ultimi 20 anni è stato misurato e certificato da molteplici indicatori economici. E le patologie diagnosticate.
Forse allora agevolare il flusso dei dati tra le funzioni aziendali e verso il mondo esterno, ricavare preziose informazioni grazie a strumenti innovativi, migliorare l’efficienza di processo e l’efficacia di comunicazione è ciò che serve per sviluppare un’impresa adeguata ai tempi. Magari in aggregazione con altre imprese: fornitori, clienti, partner industriali o persino concorrenti. Ecco la forza della Trasformazione Digitale.
Una Trasformazione Digitale al servizio di un piano strategico da cui dedurre un’architettura e gli strumenti più idonei per la realizzazione del piano stesso.
Ecco la Mission della Trasformazione Digitale.
Le best practices per investire nella trasformazione digitale senza migliorare la competitività
La casistica, ahimè, è ampia. Riporteremo pertanto qualche caso e le tendenze più diffuse che abbiamo riscontrato.
Il miglior modo di investire senza aumentare la competitività, addirittura peggiorandola, è quello di una piccola azienda del nord Italia che ha comprato un macchinario da 800.000 euro per ottenere i benefici fiscali “Industria 4.0”. Imprenditore e figlio consideravano l’interconnessione una perdita di tempo e dopo 6 mesi la macchina non era ancora avviata perché “i miei operai non sono mica capaci di usarla”. Ma questo è un caso estremo.
In un altro caso, dopo un adeguato percorso di formazione sul modello “Industria 4.0” (ed un prezzo di consulenza concordato con tanto di stretta di mano), un’azienda ha avuto l’opportunità di risparmiare alcune migliaia di euro ricorrendo ad un servizio di terzi a basso costo (iniziale). “Tanto, a dirLe il vero, a noi basta il bollino”. Esempio di azienda Chiquita. Il mondo è piccolo: non hanno fatto un affare.
Un altro ottimo modo, più sottile e ben più diffuso, è quello di considerare l’investimento rigorosamente circoscritto intorno all’ufficio, o alla macchina oggetto dell’investimento. Le specifiche dell’intervento saranno dettate dalle esigenze locali e spesso tenderanno a riprodurre, magari più velocemente, gli stessi processi già consolidati in azienda. Si interviene nuovamente senza una visione di sistema e si ricalcano processi poco efficienti perché pensati per strumenti obsoleti e/o pasticciati per effetto di adattamenti successivi.
Ottima anche la mancata attribuzione di una risorsa dedicata a seguire il progetto di digitalizzazione, lasciandone i risultati nelle mani del fornitore. Anche un fornitore serio e competente si troverà nell’impossibilità di studiare le soluzioni migliori per il cliente, con la quasi certezza di doversi arrendere a tempi, costi e risultati impredicibili. Elevata la probabilità di un contenzioso.
Tipiche giustificazioni: nessuno qui dentro ha tempo per seguire queste cose, abbiamo comprato l’integrazione dal fornitore e quindi spetta a lui risolvere i problemi. Più spesso mancano le competenze di project management per gestire un processo di digitalizzazione.
Molto efficace anche il tentativo di essere meno invasivi possibile nei confronti del personale, ponendo come priorità il quieto vivere rispetto alla trasformazione integrata di organizzazione e strumenti. Peccato che così si rinunci a quel salto di qualità che avrebbe certamente riposizionato l’azienda sul piano competitivo.
Il metodo migliore di tutti, che spesso causa l’applicazione dei diversi metodi sopra descritti è comunque: non avere elaborato un piano strategico di sviluppo adeguato ai tempi.
In questo caso abbiamo la garanzia che ogni miglioria nell’organizzazione sarà parziale, finalizzata ai dettagli. Idem per la comunicazione, improntata per lo più sulla emulazione nelle modalità e negli strumenti adottati dai concorrenti. La digitalizzazione rischierà di restare un mistero rinchiuso nella mente di fornitori, con i quali magari non abbiamo mai pranzato insieme. E’ un metodo potente, immediato da adottare perché si intraprende in automatico senza fare nulla, che sovente trova motivazioni nella mancanza di tempo, nella consapevolezza che servirebbero competenze non presenti in azienda, nella scarsa fiducia che queste competenze possano essere reperite presso consulenti seri e competenti, così’ come potenziali partner strategici, all’esterno dell’azienda.
L’approccio del compromesso, pertanto, funzionerà ugualmente?
Effettivamente il più delle volte lo stato d’animo con cui affrontiamo il tema della digitalizzazione è piuttosto lontano da quello che ci porterebbe naturalmente verso l’approccio ideale.
Che cos’è la digitalizzazione? Senza un piano strategico è una rete di tantissime strade tutte uguali, nel senso che non portano da nessuna parte.
Senza una visione d’insieme ed una determinazione tutta imprenditoriale molte delle perplessità descritte nella prima parte dell’articolo sono assolutamente giustificate e dettate dal buon senso.
Purtroppo un approccio attendista e conservativo induce ad una prudenza che oggi tutto è fuorchè prudente.
D’altra parte, in crescendo:
quanto mi costa avere anagrafiche disallineate tra amministrazione e commerciale?
Quanto mi costa mantenere passaggi cartacei nel ciclo di produzione e di vendita di un prodotto?
Quanto mi costa realmente un gestionale obsoleto?
Quanto ho il polso della situazione della mia azienda se gli strumenti che uso mi permettono di guardare indietro e di fianco, magari in ritardo, e non davanti?
Quanto si avvantaggerà il mio concorrente capace di mostrare i propri prodotti nel contesto del cliente attraverso strumenti di Realtà Aumentata? Se riesce a mostrare le tue scarpe indosso a te, come sei vestito ora o il mobilio nei tuoi spazi?
Quanto aumenterà la competitività del mio concorrente che, con diagnosi predittive basate su big data ed un’assistenza virtuale, decima i costi di formazione e manutenzione in tutto il mondo?
Siamo pronti per elaborare un piano per superare le fragilità croniche di molte nostre aziende, legate alla dimensione, alla organizzazione, alla comunicazione ed alla finanza? Abbiamo gli strumenti digitali per gestire facilmente tutti questi aspetti di quell’unico sistema chiamato azienda?
Non è finita:
Abbiamo idea di come predisporci per accedere anche noi al Recovery Fund? Avremo i requisiti? Questa è una occasione che capita una volta nella vita. Vogliamo perderla?
Siamo attrezzati per l’eventualità (tutto fuorchè remota) che gli sviluppi della pandemia non termineranno a breve?
Senza una forte presa di coscienza di quanto esposto pare molto difficile creare una nuova prospettiva per lo sviluppo industriale delle nostre imprese. L’emergenza Covid ha solo accelerato, se mai era possibile, l’urgenza di interventi efficaci.
Un detto recita che “non si fa la frittata senza rompere le uova”. Oggi, se non le rompiamo, aspettiamoci che diventino lesse (e qui ritorniamo alla storiella della Rana Bollita).
Senza un piano strategico saremo come il marinaio di Seneca ad inseguire istante per istante il vento. Forse non è il caso ridurci così, se non altro per i nostri figli.
Riassumendo, in concreto?
- Una profonda digitalizzazione delle imprese ed un piano strategico aziendale personalizzato, che la digitalizzazione supporta ed implementa, non sono più un’opzione, sono un must;
- Il piano strategico deve definire come superare probabili limiti strutturali comuni a molte imprese: finanza, dimensione, organizzazione, comunicazione, la stessa digitalizzazione;
- Per quanto riguarda la digitalizzazione, molte aziende sfruttano solo parzialmente gli strumenti che già hanno in casa e non conoscono le potenzialità delle nuove tecnologie digitali abilitanti, in rapidissimo sviluppo;
- La posta in gioco impone comunque la istituzione di un presidio forte e competente del progetto che realizzerà tale piano;
- E’ pertanto verosimile che diverse competenze siano accessibili solo all’esterno dell’azienda.
Come si pone AICIM in questo contesto?
AICIM, con le competenze dei suoi associati messe a sistema già da diversi anni, ha elaborato un modello di sviluppo adeguato ai tempi, concreto e collaudato. Intende dare supporto alle imprese, soprattutto le PMI, nell’impostare e realizzare il loro piano strategico personalizzato.
Nei prossimi articoli affronteremo ulteriori inerenti gli ostacoli e le opportunità connessi con la trasformazione digitale, alle possibili soluzioni, sempre aperti a valutare proposte dei nostri lettori.
A cura del Tavolo Digitalizzazione
Coordinatore del Tavolo: Michele Vanzi