Premessa

Spesso abbiamo sentito ad personam utilizzato in termini negativi, riferito in particolare a titoli, cariche o privilegi concessi appunto “alla persona”.

In questo articolo vogliamo invece enfatizzare il ruolo di una formazione dedicata alla persona, né generica né superficiale, finalizzata allo svolgimento di uno specifico incarico lavorativo. In particolare, partendo dalle hard skill/soft skill possedute al momento della selezione (al riguardo suggeriamo l’articolo recentemente pubblicato al link https://www.aicim.it/2023/08/22/dalla-job-description-allassessment-le-persone-al-centro/), si possono individuare gli eventuali gap da colmare sia in termini di preparazione tecnica sia per quanto riguarda le modalità comportamentali necessarie per ricoprire il ruolo assegnato. Si valuta, cioè, qual è il livello di competenze da acquisire per svolgere le attività previste (dalla job description) in modo quantomeno adeguato (l’adeguatezza è il punto di partenza).

Naturalmente, in linea teorica, l’assessment potrebbe aver permesso l’individuazione di una persona con un profilo pienamente aderente all’incarico da svolgere; pertanto, in tale situazione, verrebbe assicurata l’operatività fin dal primo momento. È però più probabile la necessità di intraprendere un percorso formativo ad hoc, ovvero ad personam.

Ed è questa la novità che proponiamo: uno spazio formativo dedicato, ovvero il luogo dove stimolare – in ambiente protetto – il coinvolgimento della persona, parte attiva del processo di apprendimento, al fine di risolvere un problema, prendere una decisione, confrontarsi con eventuali altri partecipanti, ecc.. In sintesi verrebbe realizzata una palestra di apprendimento, dove l’errore rappresenta un’occasione di crescita individuale e di gruppo/team. Potrebbe peraltro trovare utile applicazione l’Experiential Learning Model, che poggia sulle teorie sviluppate da David Kolb e si sta rivelando, anche in ambito organizzativo/aziendale, un efficace strumento per la conoscenza e l’acquisizione della consapevolezza del proprio stile di apprendimento preferenziale, cioè come – ciascuno di noi – più facilmente si interfaccia con le attività di cui comincia a occuparsi.

Se pensi che l’istruzione sia costosa, prova l’ignoranza (Derek Bok, Harvard University, USA)

 

Lo spazio formativo

In un Paese dove, tutt’oggi, si tende alla separazione tra l’universo scolastico e il mondo lavorativo, comprendiamo le perplessità di chi ritenga necessario “cominciare a imparare” quando si entra in un’azienda, a prescindere dalla dimensione. È una delle due facce della medaglia; l’altra è ciò che – prima di iniziare a lavorare – la persona ha fatto, con successo o sbagliando, nel lungo periodo scolastico (quantomeno quello obbligatorio) e nel rapporto con gli altri: la famiglia, gli amici, gli insegnanti, i compagni di classe… Questo non può essere tenuto al di fuori dell’azienda: sta a noi far sì che produca un risultato positivo e, pertanto, è necessario conoscerlo. Ovviamente non ci riferiamo ad aspetti tendenti a violare la privacy della persona (anche se in molti casi ciò, purtroppo, avviene ancora oggi). Stiamo parlando della disponibilità ad apprendere ciò che serve, possibilmente con le modalità più adatte individualmente e non copiate da modelli stereotipati.

La palestra di apprendimento rappresenta l’evoluzione pratica di ciò che ‘in teoria’ dovremmo sapere o aver imparato. Alla fine del secolo scorso si diceva “saper fare” (ancora oggi lo si sente dire), dandone una connotazione spesso superiore rispetto a chi esprimeva concetti teorici. Oggi, professionalmente più maturi, riusciamo a immaginare un processo di apprendimento basato solo su aspetti pratici, prescindendo da quelli teorici? Solo una persona ignorante potrebbe pensarlo. Focalizziamoci per esempio sulla preparazione necessaria a un/una grande tennista al fine di vincere il match contro un campione/una campionessa di pari livello: serve preparazione atletica, studio delle condizioni favorevoli/sfavorevoli, valutazione della situazione psicologica (propria e dell’avversario), ecc.. Tutte attività che coinvolgono, innanzitutto, la mente. Addirittura sul campo, mentalmente, potremmo aver giocato più volte, vincendo o quantomeno riconoscendo le possibile debolezze dell’avversario/a (approfondite tecniche di psicologia applicata permettono all’atleta di prepararsi alla vittoria sul campo). È il concetto sul quale si basano le simulazioni, sia manuali sia con l’ausilio di strumenti quali i visori (realtà virtuale/aumentata).

Nel concreto, che è ciò che più ci caratterizza, l’inizio di un percorso formativo in azienda ha molto delle prime lezioni in una palestra (individualmente) o in un campo da gioco (in gruppo/team). E con le stesse ‘regole’, in azienda, l’aspetto prioritario è la motivazione all’apprendimento. Senza di essa, qualsiasi azione sarà nulla (o comunque debole) in termini di miglioramento/cambiamento. Naturalmente, nelle variegate situazioni che determinano la scelta di una posizione lavorativa (da parte della persona e dell’azienda che l’assume), è opportuno verificare, stimolare e supportare tale motivazione, anche attraverso l’utilizzo di tecniche che ne facilitino l’operatività. In tal senso, rendere consapevole la persona circa la sua modalità di approccio (ai problemi, allo studio, alla vita) può risultare vincente (oltre a fornire indicazioni per una migliore conduzione didattico-formativa). In particolare lo stile di apprendimento apre la porta a tutta una serie di risposte, anche sugli studi pregressi, che rendono più facile comprendere perché ci poniamo in una maniera (e come si pongono gli altri rispetto alla stessa situazione di riferimento). Quanti, sentiamo dire, preferiscono leggere le istruzioni (integralmente) prima di accendere un nuovo dispositivo elettronico? E quanti, invece, prima lo accendono e poi cercano di capire come usarlo (spesso senza mai ‘aprire’ il manuale)? Quanti, d’altro canto, dicono che è meglio vedere se buttando una persona in acqua riesce a rimanere a galla, mentre altri preferiscono un approccio più soft (osservando come si fa, provando senza immergersi in acqua, ecc.)?

 

Gli strumenti esperienziali

Il cosiddetto “Questionario di Kolb” può favorevolmente costituire l’avvio di una metodica attiva ed esperienziale da parte di chi inizia un percorso di apprendimento. Esso permette, infatti, di confrontarsi partendo da un punto di vista condiviso e consapevole del proprio stile preferenziale di apprendimento, comprendendo – innanzitutto – che normalmente si utilizzano tutte le modalità (esperienza concreta, osservazione riflessiva, concettualizzazione astratta e sperimentazione attiva) ma il nostro approccio ne privilegia una o due in particolare. Nell’ambito esperienziale, inoltre, le attività possono essere condotte con modalità indoor e outdoor, raramente frontali (didattica cosiddetta “tradizionale”), spesso effettuando simulazioni, role-play, case-study… che si concludono con debriefing più o meno strutturati, dove l’aspetto di maggior rilievo è il feedback.

Comunque prioritariamente, quando possibile e la persona ha già evidenziato notevoli competenze tecniche (hard skill), nonché un’importante seniority, può risultare ancor più efficace (e noi lo preferiamo) agire sulle competenze comportamentali (soft skill) da migliorare/rafforzare, cioè quelle assolutamente necessarie anche in situazioni complesse/rischiose. Ne parliamo nel successivo paragrafo e si tratta, in sintesi, di un allenamento finalizzato al sostegno/rafforzamento di una o più capacità, a maggior ragione nel caso in cui il valore rilevato (durante una sessione di assessment) fosse risultato al di sotto dell’adeguatezza necessaria per il ruolo ricoperto/da ricoprire.

 

Il caso pratico

Ripetiamo innanzitutto che la prima cosa da valutare è anche la più importante: la concreta volontà di mettersi in giocoper acquisire le nuove competenze necessarie (requisito fondamentale). Troppo spesso, infatti, si vedono imprenditori investire in formazione per i dipendenti o collaboratori che non ne percepiscono l’importanza e lo sforzo economico: prima di procedere va evidenziato il valore di quello che si va a fare.

Per entrare nei dettagli (e per capire l’importanza della formazione) potremmo citare l’esperienza vissuta da un libero professionista nel settore finanziario con hard skill molto elevate – nel suo settore – ma con poche capacità di comunicazione e commerciali, soprattutto in fase di negoziazione e acquisizione di clienti. Con la persona è stato quindi avviato un percorso basato sulle tecniche di comunicazione, con una esercitazione pratica per ogni singolo aspetto, simulando la tematica affrontata e ponendo in maniera ‘giocosa’ ostacoli e difficoltà da affrontare. Successivamente si sono affrontate tutte le fasi di una trattativa, cosa dire e cosa non dire, quando dire o chiedere, quando stare in silenzio e quando no, e per ogni fase sempre simulazioni pratiche che venivano riportate nelle casistiche che viveva il libero professionista nel suo quotidiano. Quindi, a seguire, la ristrutturazione delle obiezioni, partendo da un’attenta analisi di tutte le obiezioni ricevibili, e il processo di ristrutturazione finalizzato al risparmio di tempo, di soldi, oltre alla maggior consapevolezza (pratica, concreta ed esperienziale) sul miglior modo per distinguere le vere obiezioni dalle false, nonché la corretta modalità di ristrutturazione.

L’ultima fase, la più affascinante, è  stata l’operatività sul campo: l’affiancamento (più volte) presso nuovi potenziali clienti e la conduzione come ‘uditore’ di una trattativa, con la successiva disamina delle cose pienamente riuscite e quelle ancora da migliorare. Nel caso specifico, per far apprezzare il valore (anche economico) delle capacità acquisite tramite la formazione ad personam, evidenziamo che al secondo appuntamento – con un (potenziale) cliente – è stato firmato un contratto fra le parti a sei zeri: pensiamo che ne valga la pena!

Considerazioni metodologiche

Alla luce di quanto sopraindicato, innanzitutto sentiamo il dovere di confrontarci specificamente (contattando gli autori ai seguenti link: https://www.linkedin.com/in/domenico-roma-30499552  e  www.linkedin.com/in/mario-corsini-consulente). Riteniamo infatti che l’applicazione pratica possa aiutare più di qualsiasi studio al riguardo. È necessario comprenderne la profondità metodologica, l’utilità aziendale e il beneficio che la persona potrà trarne (e restituire) nel suo ruolo/incarico.

Peraltro, avendo delineato strumenti che meriterebbero di essere trattati singolarmente, saremo grati ai lettori che vorranno sperimentare la metodologia esperienziale, in modalità semplice (uno alla volta, in sequenza) o complessa (più strumenti in parallelo), per attività dedicate a singole persone (ad personam) o team di lavoro, anche neocostituiti. La forza di quanto proposto sta infatti nella procedura flessibile, non legata a rigidi protocolli, e nella specificità dei processi (mai generici e difficilmente adattabili a ogni situazione lavorativa).

Autori: Domenico Roma, Mario Corsini