A cura di Mario Corsini
Quando sentiamo la parola “talento”, pensiamo subito a prodigi: Mozart che compone musica a 5 anni Leonardo da Vinci pittore scultore architetto inventore, Pelè che incanta con il pallone ai piedi, Michael Jordan giocatore di pallacanestro, Jobs che reinventa la tecnologia. Sono immagini potenti, quasi mitologiche. Questi sono solo alcuni esempi di persone che, nel corso della storia, sono state riconosciute per il loro talento innato in vari campi che li ha portati al successo, ma il talento innato, tuttavia, non è l’unico fattore determinante per il successo e lo affronteremo fra poco. Nella vita quotidiana (anche all’interno di aziende) spesso ci capita di incontrare o conoscere persone e ritenerle talentuose, vediamo che hanno competenza e bravura in un’attività specifica, che può essere lavorativa, artistica, sportiva, intellettuale o di altro tipo, possiedono ingegno, capacità di apprendere rapidamente e di trovare soluzioni originali, a volte si crede che siano in possesso di abilità innate o predisposizioni particolari per qualcosa. Sarebbe troppo riduttivo ed altamente fuorviante fermarsi alla considerazione che talenti si nasce, sarebbe una credenza limitante.
“Io non sono nato così… quindi, ho perso il treno?” Potrebbe essere il pensiero di alcuni ma la risposta è no!! Il treno non è mai perso. Ce lo spiegano decenni di ricerche sulla performance umana. Il punto di svolta arriva grazie allo psicologo svedese K. Anders Ericsson, che ha studiato a fondo i migliori violinisti del mondo, gli scacchisti, i medici e altri top performer. Nel suo studio più noto, condotto presso l’Accademia di Musica di Berlino, Ericsson scoprì che la differenza tra un musicista di livello mondiale e uno medio non era il “talento innato”, ma la quantità di ore di “pratica deliberata” accumulata. La cifra magica? Circa 10.000 ore. Questa teoria fu poi resa popolare dal giornalista Malcolm Gladwell nel bestseller Outliers: The Story of Success (2008). Gladwell portò esempi famosi, tra cui Bill Gates e i Beatles, sottolineando come il successo fosse una combinazione di opportunità, contesto… e tanto, tantissimo lavoro. “La chiave del successo non è il talento innato, ma la pratica deliberata.” — K. Anders Ericsson, Peak: Secrets from the New Science of Expertise, 2016 Quindi che cosa è che separa un talento naturale da un ‘signor nessuno’? Una “pratica deliberata” ripetuta fino all’ossessione, significa allenarsi con intenzione, con feedback costanti, lavorando sui punti deboli. Allenarsi “bene” non solo “tanto” applicando appunto la teoria delle 10.000 ore, tutto questo deve essere accompagnato da un mentore che crede fortemente nella persona e da un ambiente ed un contesto che favorisce tutto ciò altrimenti diventa faticoso. Fare e rifare sempre ed in maniera maniacale tutti i giorni le basi dalla propria attività (lo si capisce molto bene in ambito sportivo guardando gli allenamenti degli atleti) ‘’Se colpisci 2500 palle al giorno, cioè 17500 alla settimana, cioè un milione di palle all’anno, non potrai che diventare il numero 1 al mondo ’’ Mike Agassi padre di Andre Agassi Se il talento è sviluppabile, allora ogni persona può crescere. Ma soprattutto: ogni azienda ogni organizzazione può diventare un vivaio di eccellenze. Nel mondo aziendale, troppo spesso ci affidiamo alla ricerca del “candidato perfetto” o del “collaboratore geniale”. Ma la vera domanda è: quanto tempo e risorse stiamo investendo per far sbocciare i talenti già presenti in casa? Come si può sviluppare il talento nelle aziende (e in sé stessi). Ecco alcuni suggerimenti e leve pratiche da utilizzare personalmente ed aziendalmente ispirate dall’esperienza e dalla scienza della performance:
- Investi nella pratica deliberata
Crea contesti in cui le persone possano allenare le loro competenze in modo mirato. Non solo “fare esperienza”, ma fare esperienza strutturata e consapevole, temi come la negoziazione e vendita, gestione delle obiezioni, lettura delle micro-espressioni, la chiusura avanzata, il public speaking e le presentazioni, la creazione di storytelling, la gestione dell’ansia, l’uso strategico delle pause.
Fare role-play con scenari progressivamente sempre più complessi (es. trattative multiparte, clienti ostili) praticare discorsi di 5 minuti su temi casuali davanti a persone per allenare il Public speaking, altro tema è: Allenare il Pensiero Strategico:
Fare esercizi di analisi dei dati, previsione di scenari, decision-making sotto pressione, risolvere 1 case study al giorno, giocare a simulazioni strategiche (es. War Games usati dall’esercito USA e adottati da molte aziende).
Impegnarsi a Ridurre del 20% il tempo di analisi per decisioni complesse, mantenendo l’accuratezza,oppure: Allenare l’Intelligenza Emotiva: Empatia, gestione dello stress, riconoscimento delle dinamiche di gruppo.
Fare esercizi di ascolto attivo: ripetere parola per parole ciò che un collega ha detto prima di rispondere.
Usare strumenti per mappare le emozioni proprie e altrui durante le interazioni.
Sviluppare competenze tecniche verticali, ottimizzare la gestione del tempo dei processi e della produttività, capire le cose urgenti e le cose importanti, allenare il pensiero laterale la generazione di idee, fare esercizi praticando il “fallimento controllato” (testare 3 idee assurde a settimana e documentarne gli insight) sviluppare l’adattabilità e l’apprendimento allenando la flessibilità cognitiva, e la assimilazione di nuove informazioni imparando una skill non correlata al lavoro (es. un dipendente contabile che studia disegno architettonico) sviluppa la capacità nella persona del problem-solving. Questi sono alcuni temi generici sui quali allenarsi per sviluppare il talento di una persona nell’ambito delle relazioni umane e del miglioramento delle performance.
- Cultura del feedback costruttivo
La cultura del feedback costruttivo è un elemento chiave per la crescita individuale, professionale e organizzativa. Si tratta di un insieme di pratiche, atteggiamenti e valori che promuovono il confronto aperto, rispettoso e orientato al miglioramento, anziché alla colpa o alla critica distruttiva. Una cultura di feedback si basa su una mentalità di crescita, tutti possiamo imparare, migliorare e svilupparci con l’esperienza e il confronto. Vale in particolare nei contesti lavorativi, educativi o nei team creativi. Questo atteggiamento crea un ambiente favorevole allo sviluppo del talento
- Formazione continua = strategia, non costo
Le 10.000 ore non si costruiscono in un workshop, ma con un percorso costante. Incentivare micro-formazioni, coaching, e-learning di qualità, mai smettere di imparare e stimolare la crescita
- Disciplina personale = leadership credibile
Ogni imprenditore, manager o consulente è prima di tutto un esempio. Se vuoi persone che crescono, sii il primo a “fare le ore”. Allena la Leadership e Gestione dei Team sviluppando la comunicazione assertiva, la delega efficacie la gestione dei conflitti
Esempio simulando riunioni difficili (es. licenziamenti, negoziazioni salariali) con feedback su tono di voce e linguaggio non verbale.
- Valorizza i progressi, non solo i risultati
Premia chi migliora, non solo chi “vince”. Questo crea un ecosistema fertile, motivante e meritocratico. Il talento per svilupparsi ha bisogno di un ambiente positivo e proiettato al miglioramento
Conclusione – Il talento non è un punto di partenza, ma una traiettoria. Il vero talento non è qualcosa che “hai o non hai”. È una traiettoria. Una linea che sale, curva, rallenta, riparte. Una traiettoria che puoi scegliere ogni giorno di percorrere. E che puoi insegnare a percorrere anche agli altri. Mozart? Sì, aveva doti straordinarie. Ma è anche vero che suo padre, musicista, lo sottopose a intense sessioni di studio fin da piccolissimo. Maradona? Era un prodigio, ma passava ore ogni giorno con un pallone tra i piedi, anche quando nessuno lo guardava. Il concetto è abbastanza chiaro; il talento senza disciplina si spegne. Ma la disciplina può far nascere e crescere il talento. Il talento, in definitiva, è una scelta quotidiana.







